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Questa sezione, interamente tratta da Damiani Mario, Complessità e pensiero organizzativo, libreriauniversitaria.it, 2013, ha lo scopo di fornire un breve profilo di alcuni tra i maggiori esponenti del pensiero organizzativo. La scelta include sia gli autori classici, sia altri che hanno saputo portare originalità in una materia molto articolata e complessa. Naturalmente, per comprendere al meglio la portata delle loro idee occorre riferirsi al periodo in cui furono enunciate. Per questa ragione, seppur consapevole che il criterio cronologico è uno dei meno efficaci per illustrare lo sviluppo e l’evoluzione delle molteplici scuole e correnti relative al pensiero organizzativo, ho scelto di presentare i vari personaggi in base alla data di pubblicazione delle versioni originali delle loro opere principali. Poiché alcuni di loro hanno scritto davvero molto, la scelta del libro più noto o più importante non è avvenuta sulla base di criteri rigorosamente deterministici.

 

Karl Emil Maximilian Weber (1864 - 1920), è stato un esponente di primo piano di diverse discipline quali economia, sociologia, filosofia e storia. Considerato uno dei principali fondatori dello studio moderno della sociologia e della pubblica amministrazione, si occupò specialmente del rapporto degli uomini con il potere, distinguendo tra potere e potenza; quest’ultima è una dominazione arbitraria sugli altri, mentre il potere è una dominazione in un certo senso accettata o a cui non si può negare l’osservanza. Il potere ha quindi un carattere di legittimazione. Weber ne distingue tre diversi tipi: quello legale, che deriva dalle leggi a cui gli uomini sono chiamati a essere ubbidienti (la burocrazia è il sistema che legittima il potere); quello carismatico, riconoscimento di specifiche qualità di un personaggio che, in base a tali caratteristiche, si ritiene perciò superiore; quello tradizionale, al quale ci si sottomette per il semplice fatto che altri in passato vi si sono sottomessi. Secondo Weber questi tre tipi di potere non si realizzano quasi mai in forma pura; la loro presenza in forma mista costituisce quasi sempre causa di tensioni. La burocrazia è per Weber l’amministrazione sia della cosa pubblica, sia di un’impresa privata e prevede i seguenti principi: la competenza di autorità definite disciplinata da norme; la gerarchia degli uffici, che prevede una rigida definizione dei livelli di potere e di comando; il segreto d’ufficio e la rigida separazione tra vita lavorativa e vita privata; una preparazione specializzata, grazie alla quale i funzionari godono di una posizione privilegiata; l’attività a tempo pieno: l’ufficio è una professione. Se il potere carismatico e tradizionale consentono l’esercizio delle prerogative a tempo parziale o con frequenza saltuaria, il lavoro burocratico d’ufficio è a tempo pieno. La burocrazia, però, può tendere alla spersonalizzazione; lo stesso Weber metteva in guardia sul fatto che un eccesso di burocrazia poteva trasformare in routine meccanica ogni aspetto della vita dell’uomo, confinandolo in una sorta di “gabbia di ferro”. Tra i suoi contributi più noti e significativi cito Die Protestantische Ethik und der Geits des Kapitalismus, 1904.

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Frederick W. Taylor (1856 - 1915), ingegnere e imprenditore, ha avviato la ricerca sui metodi per il miglioramento nella produzione. Il suo approccio prevedeva l’esistenza di un solo modo ottimale per compiere una determinata azione (one best way). Inizialmente applicata al settore produttivo, la teoria di Taylor era basata sullo studio minuzioso dei singoli movimenti del lavoratore attraverso cui ottimizzare i tempi. Lo Scientific Management considerava il lavoratore come un mero esecutore senza possibilità di porre in atto iniziative personali. L'idea di Taylor consisteva inoltre nel superare l’approccio personalistico e considerato amatoriale dei capi suoi contemporanei. Attraverso la cooperazione tra una dirigenza più qualificata e una nuova categoria di lavoratori, gli operai generici, Taylor riteneva che fosse possibile arrivare a una proficua relazione da cui entrambe le categorie (quelle manageriali e quelle operaie) avrebbero ottenuto vantaggi. Interessante a tale fine notare che Taylor con le sue teorie si prefiggeva lo scopo di superare nientemeno che la dialettica marxista tra capitale e lavoro, basata sulla divisione del surplus. Secondo lui, infatti, aumentando la produttività il surplus derivante sarebbe stato così alto che nessuno avrebbe più litigato per la sua spartizione; da ciò deriva che la sua teoria mirava da un certo punto di vista al superamento della lotta di classe e a una maggior armonia tra proprietari e lavoratori. I limiti principali del taylorismo sono da ascriversi principalmente all’idea di stabilire regole uguali per tutti, senza tenere conto delle inevitabili diversità tra ciascun individuo e di porre troppa attenzione ai movimenti elementari a discapito dell’azione complessiva. Molte interpretazioni considerano il taylorismo come un mero strumento di sfruttamento dei lavoratori a favore del capitale. Drucker (vedi) afferma invece che l’opposizione al pensiero di Taylor venne principalmente dai sindacati, a causa del controllo (potere) che esercitavano sul processo di apprendistato dei lavoratori e che pertanto non accettavano la despecializzazione professata dal taylorismo. Crozier (vedi) sottolinea inoltre che il pensiero di Taylor non si è mai pienamente compiuto poiché tramite esso non si è riusciti a determinare totalmente il comportamento umano; i lavoratori riuscivano comunque a conservare spazi di autonomia soggettiva non controllabili dai capi. Il suo lavoro più conosciuto è The Principles of Scientific Management, Harper & Brothers, 1911.

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Henri Fayol (1841 - 1925), è considerato il primo teorico a essersi occupato dell’amministrazione delle imprese. Egli sosteneva che si potessero applicare gli stessi principi di management a qualunque organizzazione, di qualunque grandezza e di qualunque attività fossero. Definì in tal senso le cinque funzioni chiave del management industriale, chiamate anche i cinque pilastri, che possono essere sintetizzati come segue: a) prevedere e pianificare: prevedere è già agire in quanto prepara il futuro; b) organizzare: munire l’azienda di tutto quello che le serve, ossia strumenti, capitale, personale; c) comandare: trarre maggior profitto possibile da ciò che compone l’azienda e nel suo interesse; d) coordinare: mettere in armonia tutte le azioni di un’azienda per facilitarne il successo; e) controllare: verificare se tutto si svolge in base al piano e in conformità agli ordini dati e ai principi ammessi. Fayol sviluppò inoltre i quattordici principi generali di amministrazione, qui riportati per soli titoli: 1) divisione del lavoro, 2) autorità statutaria e personale; 3) disciplina; 4) unità di comando; 5) unità di direzione; 6) subordinazione dell’interesse individuale a quello generale; 7) giusta ricompensa; 8) centralizzazione vs. decentralizzazione; 9) catena gerarchica; 10) ordine materiale e sociale; 11) equità; 12) stabilità del personale; 13) iniziativa; 14) spirito di corpo. La sua opera più rilevante è considerata Administration Industrielle et générale, Dunod, 1916.

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Mary Parker Follett (1868 - 1933) fu consulente di management per centri sociali, per amministrazioni comunali, per organizzazioni pubbliche e imprese. Pioniera nel campo delle teorie del comportamento organizzativo e pensatrice di grandissimo livello. Le sue opere, caratterizzate da una profonda umanità, erano in anticipo di decenni in un’epoca, la sua, in cui il pensiero dominante era finalizzato alla piena scientificità del management e alla standardizzazione dei processi lavorativi (Taylor, Ford e altri). Follett criticava chi sosteneva la necessità di una scienza della produzione ma non della cooperazione e si chiedeva come un tale approccio potesse essere d'aiuto a chi gestiva quel sistema sociale complesso che erano (e tuttora sono) le imprese. Follett sentiva fin nel profondo le implicazioni psicologiche e gli aspetti sociali dell'interazione umana, nei gruppi, nelle associazioni, nelle imprese. Registrava con attenzione i motivi di frizione e di contrasto che sono la base naturale e latente dei conflitti, e studiava con obiettività quali potessero essere i terreni d'incontro e le vie di convergenza. In una società democratica, ella affermava, il potere dovrebbe essere esercitato con le persone e non sulle persone. Parker Follett anticipò il pensiero di Mayo, Barnard, Maslow, McGregor, Herzberg (Cfr. tutti) e degli altri autori che diedero vita alle varie scuole sociali. A lei si possono far risalire le basi di alcuni approcci relazionali e di management molto conosciuti oggi, come: la soluzione win-win, la leadership situazionale, il valore della diversità, la focalizzazione sui processi. Fu consulente del XXVI presidente degli Stati Uniti, Theodore Roosevelt. Trascurato alquanto nella storia delle teorie organizzative, il pensiero di Follett sta vivendo ora una rivalutazione significativa. Drucker (vedi), che ne scoprì i contributi negli anni ’50, la tenne sempre in altissima considerazione. Uno dei suoi libri più importanti è Creative Experience, 1924, ristampato da Peter Smith nel 1951.

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Elton Mayo (1880 - 1949) è stato uno psicologo e sociologo, docente alla Harvard Graduate School of Business. Ha condotto alcuni studi in base ai quali pone in evidenza l’importanza del senso di appartenenza e di inclusione: un gruppo coeso, operante con autonomia e responsabilità aumenta la produttività, e riduce il turnover. Mayo è il fondatore dello Human Relations Movement, approccio che tende a privilegiare lo studio delle motivazioni psicologiche dei lavoratori e che ha aperto la via agli studi sulla psicologia sociale delle organizzazioni. In base alle sue ricerche sul campo, più la partecipazione è attiva più un lavoratore è soddisfatto e più facile si rivela l’operato del manager; in sintesi, il semplice fatto di prestare attenzione ai lavoratori ne aumenta il rendimento. Mayo si pose così in sostanziale antitesi teorica con lo Scientific Management di Taylor, integrando il concetto di fattore umano (human factor) con il concetto di produzione. In base alle sue teorie il lavoratore non è oggetto ma soggetto attivo, con capacità e necessità proprie, in grado di relazionarsi con altri soggetti e in questo modo in grado di confrontarsi e di evolvere professionalmente. Proficuo a tale scopo era promuovere il raggruppamento dei lavoratori in piccoli nuclei, tali da agevolare l’interscambio di relazioni anche di tipo informale, che favorissero la cooperazione e diminuissero il conflitto inevitabilmente creato dai rapporti basati sulla sola applicazione dell’organigramma. Alcuni osservano però che la costituzione delle squadre di lavoro non avvenne per motivi sociali ma semplicemente per seguire le nuove tecniche produttive. Ecco che allora le Relazioni Umane possono anche essere viste come un contentino (o addirittura come una sorta di anestetico) all’evoluzione del taylorismo. Mayo sviluppò le sue esperienze presso gli stabilimenti Hawthorne della Western Electric, dove condusse esperimenti relativi alla correlazione tra fattori ambientali (grado di illuminazione) e rendimento dei lavoratori. In un primo tempo si verificò una correlazione positiva tra i due fattori, ma in seguito l’elemento di maggior impatto sull’aumento della produttività fu che i lavoratori si sentivano considerati e coinvolti come soggetti e non come oggetti. Uno dei testi di riferimento del pensiero di Mayo è The Human Problems of an Industrialized Civilization, MacMillan Co, 1933.

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Chester Barnard (1886 - 1961) fu un executive manager tra i pionieri nel campo del management e degli studi organizzativi. Di particolare interesse il suo contributo relativo al ruolo della direzione aziendale. Le sue prime responsabilità consistono nel costruire un sistema di comunicazione e nel rendere disponibili le risorse idonee al funzionamento dell’organizzazione. Barnard attribuisce inoltre ai capi i compiti e le responsabilità relative sia alla definizione e gestione dei valori dell’impresa, sia all’assicurazione dell’impegno di chi ci lavora. Di rilievo anche il suo concetto di autorità: non basta occupare una specifica posizione nella scala gerarchica, ma è solo l’accettazione dei subordinati che rende legittimo un ordine. Da ciò deriva la concezione del potere basato sul consenso, sulla comunicazione e sulle qualità morali dei capi. In un periodo in cui i manager non proprietari erano ormai diffusi, le sue dirette esperienze lavorative gli fecero comprendere quanto fosse importante per un capo ottenere la legittimazione del suo ruolo per poterlo svolgere appieno. Barnard osservò inoltre che le organizzazioni sono caratterizzate da una durata limitata. Poche sono le aziende e anche gli stati che hanno più di un secolo di vita. Secondo Barnard questa durata limitata è dovuta a una sostanziale mancanza di efficacia ed efficienza. Mentre da un lato l’efficacia viene considerata nel senso comune del termine, per efficienza Barnard intende il livello con cui l’organizzazione è in grado di soddisfare le motivazioni degli individui che la compongono. Solo la chiesa cattolica, egli afferma, può vantare una durata molto elevata. Il suo libro più noto è The Functions of the Executive, Harvard University Press, 1938, nel quale si sostiene che le aziende sono tenute insieme dalle informazioni, invece che dalla proprietà o dall’autorità.

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Peter Ferdinand Drucker (1909 - 2005) è stato un economista e saggista famoso in tutto il mondo per i suoi lavori sul management, essendo ritenuto da molti l’autore più influente del settore; fu inoltre consulente per svariate grandi aziende multinazionali e per organizzazioni no-profit. Ha scritto trentanove libri tradotti in oltre trenta lingue e ha creato nel 1954 il concetto, poi diventato famoso e ampiamente adottato, del management by objective, tramite il quale anche i capi intermedi sono chiamati ad assumere quella dimensione imprenditoriale che sino ad allora era riservata alla proprietà e ai top manager. L’invito che Drucker fa ai capi è molto chiaro: invece di operare secondo il modo tradizionale (tutto ciò che non è permesso, è proibito), occorre assumere che tutto quello che non è vietato, è consentito. Da un certo punto di vista la prospettiva di Drucker rappresenta l’opposto del pensiero weberiano (vedi): dalle norme e dalla struttura il focus si sposta sullo scopo e sugli obiettivi. E anche sulle persone. Durante oltre settant’anni di attività intellettuale Drucker ha continuamente posto attenzione sulla relazione tra le persone in opposizione alla sola fredda logica dei numeri. Nei suoi libri si trovano lezioni su come le organizzazioni possono ottenere il meglio dalle persone e come i lavoratori possono trovare un senso di comunità e di dignità nelle aziende. Considerando il management come un’attività liberale, nei suoi lavori Drucker ricorse a lezioni interdisciplinari dalla storia, dalla sociologia, dalla psicologia, dalla cultura e dalla religione. Perseguire il massimo profitto non deve essere, secondo Drucker, lo scopo principale delle aziende, in quanto se anche regge nel breve, può compromettere la vita dell’azienda a medio-lungo termine; occorre invece concentrarsi sulle iniziative che presentano il miglior equilibrio tra opportunità e rischi. Altri punti fondamentali del suo pensiero possono essere così riassunti: focalizzazione su (relativamente) pochi prodotti vincenti, decentralizzazione, progressiva affermazione dei lavoratori della conoscenza. Difficile dire quale tra i suoi libri sia il più famoso, forse possiamo citare The Practice of Management, Harper & Row, 1954. Per un’agevole ed efficace comprensione del suo pensiero, consiglio il testo riportato nella sintesi bibliografica. Da questo libro propongo un passaggio straordinariamente pertinente al nostro tema sulla complessità: occorre guardare alle nostre aziende «come creature e creatrici di un ambiente materiale, l’area esterna all’organizzazione in cui stanno le opportunità e i risultati, ma anche le minacce al successo e alla sopravvivenza di ogni azienda».

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Abram Maslow (1908 - 1970) fu un professore di psicologia. Il suo messaggio alle organizzazioni è che le persone non lavorano per la sicurezza o il denaro, ma per avere la possibilità di collaborare e usare le proprie capacità. Per rendere esplicito questo concetto ha sviluppato la famosa piramide dei bisogni, un modello sequenziale-incrementale strutturato su cinque livelli e pubblicato in Motivation and Personality, Harper, 1954; una persona non può essere attratta dai contenuti di un dato livello senza aver soddisfatto pienamente tutti i livelli sottostanti. Al primo livello troviamo i bisogni di base, fisiologici, come il cibo e l’acqua, strettamente legati alla sopravvivenza. Al secondo livello sono posizionati i bisogni relativi alla sicurezza, all’ordine e alla stabilità; anche questo livello, che include la necessità di conoscere il proprio ambiente di riferimento, è considerato fisiologico e relativo alla sopravvivenza. Una volta che la persona soddisfa i bisogni dei primi due livelli può essere attratta dal soddisfare quelli successivi. Il terzo livello esprime il bisogno affettivo o di inclusione: ci si muove così dai bisogni fisiologici a quelli psicologici, come l’amicizia, la famiglia o anche il bisogno di inclusione in gruppi o organizzazioni. Al quarto livello trovano spazio i bisogni di riconoscimento da parte altrui del proprio operato e della propria competenza. Il quinto ed ultimo livello è dedicato al bisogno di auto-realizzazione o self-actualization, che si concretizza nel poter esprimere pienamente il proprio potenziale e nel dominare i propri comportamenti. Le organizzazioni che cercano di motivare i dipendenti attraverso il fattore economico e la sicurezza del posto di lavoro, limitano le istanze ai livelli più bassi della piramide.

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Chris Argyris (1923) teorico del business e professore emerito alla Harvard Business School, ha trattato il tema del conflitto tra individuo e organizzazioni. Per lui, ogni individuo passando dall’infanzia alla maturità acquisisce attributi positivi quali: spirito attivo, indipendenza, interessi continuativi e profondi, controllo su di sé, assunzione di responsabilità. Un individuo maturo non solo persegue ciò per se stesso, ma lascia che anche gli altri lo facciano. Argyris osserva che troppo spesso il modo di fare delle grandi aziende moderne costringe invece l’individuo a regredire in uno stato psicologico infantile, prescrivendone i comportamenti. La specializzazione dei compiti aumenta la resa nella singola attività ma inibisce lo sviluppo di altre capacità. Le organizzazioni che adottano il taylorismo non sono interessate a favorire la maturità dei lavoratori; preferiscono avere tante pedine disciplinate, conformiste e bisognose di essere guidate. Le direzioni aziendali si devono rendere conto che più le esigenze umane sono soddisfatte, più aumenta la qualità delle prestazioni e il livello dell’organizzazione nel suo insieme. Queste tesi sono contenute in Personality and organization, Harper, 1957. Successivamente, collaborando con Donald Schon, Argyris perviene al concetto di apprendimento organizzativo, in base al quale i dipendenti non solo pongono in atto azioni ma concorrono anche a ridefinire il modo di vedere dell’organizzazione (Organizational learning, Addison-Wesley, 1978). L’apprendimento è individuale quando l’esperienza resta a livello dei singoli; diviene organizzativo quando incide collettivamente sul modo di fare e di pensare dell’azienda. L’apprendimento è a single-loop quando scoperta e correzione dell’errore non cambiano la mappa cognitiva dell’organizzazione; è a double-loop, quando invece ne determinano una modifica.

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Douglas McGregor (1906 - 1964) fu professore di management al MIT Sloan School of Management. Nel suo famoso libro The Human Side of Enterprise, McGraw-Hill, 1960, egli sostiene che lo stile di leadership adottato dal management è lo specchio di come lo stesso management concepisce i lavoratori. Commentando in modo critico alcune idee di Taylor, McGregor nella Teoria X stigmatizza lo stile di gestione direttivo, che si basa sull’assunto che i lavoratori siano per natura indolenti, avversi al lavoro, refrattari a prendere iniziative e ad assumersi responsabilità. Egli ammonisce che il comportamento dei lavoratori «non è una conseguenza della natura essenziale dell’essere umano. E’ piuttosto una conseguenza della natura delle organizzazioni industriali, della filosofia, della politica e della pratica del management». Nella Teoria Y, sostanzialmente contrapposta a quella precedente, McGregor afferma il principio secondo il quale il lavoro rappresenta una necessità e un desiderio fondamentale dell’uomo. Le organizzazioni sono chiamate a comprendere tali istanze e a creare le condizioni favorevoli a sviluppare il potenziale delle risorse umane. La Teoria Y non nega affatto l’autorità in senso lato, ma ne rifiuta la sua manifestazione più gretta e impositiva.

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James David Thompson (1920 - 1973) fu sociologo docente ed editore. Manifestando una certa similitudine con Drucker (vedi), afferma che l’attività delle organizzazioni non deve essere orientata al massimo profitto. Thompson cerca di conciliare le istanze del sistema meccanicistico con quelle del modello organico, rappresentando l’organizzazione come formata da tre anelli concentrici: il nucleo interno, la corona intermedia e quella esterna. Il nucleo interno può essere assimilato a un sistema chiuso: in esso si svolgono le attività tecniche dell’impresa e deve essere preservato da contaminazioni esterne per poter garantire all’azienda performance regolari. Nel livello intermedio si colloca il management, che ha il compito di mediare tra le esigenze di stabilità del nucleo tecnico e le istanze di cambiamento che provengono dall’esterno. L’ultimo è il livello istituzionale, dove l’organizzazione si confronta con l’esterno ed elabora le strategie per controllarne le sollecitazioni e per poter fronteggiare l’incertezza. Per Thompson il focus delle organizzazioni è infatti il controllo dell’incertezza. Gli elementi più importanti del suo pensiero sono stati pubblicati nel suo libro più famoso, Organizations in Action, New Brunswick, 1967, che rappresenta ancora oggi un riferimento nel campo degli studi multidisciplinari sul comportamento delle organizzazioni come entità complesse.

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Frederick Irving Herzberg (1923 - 2000) psicologo, riprese la questione dei cosiddetti fattori igienici nella sua famosa teoria della motivazione dove, rispetto al pensiero di Mayo, le condizioni di lavoro di per sé sono considerate importanti ai fini di stabilire un punto di neutralità a partire dal quale fattori motivanti possono avere efficacia. Herzberg considera però che i fattori motivazionali non sono uguali per tutti. Non tutti perseguono i livelli più alti della piramide di Maslow (vedi) o rivendicano il ruolo di uomo maturo di Argyris (vedi). Alcuni individui posso essere interessati a restare nella loro tranquillità routinaria senza avere particolari mire di crescita o evoluzione professionale; costoro sono principalmente focalizzati sui fattori igienici. Altri invece trovano soddisfazione più nel contenuto del lavoro svolto rispetto all’ambiente in cui operano o anche alla retribuzione e per questi soggetti i fattori igienici sono necessari ma non sufficienti. In base a queste considerazioni, Herzberg elabora una teoria secondo la quale i fattori igienici e quelli motivazionali non sono i due estremi di un continuum ma rappresentano due concetti distinti. Fattori igienici non soddisfatti possono vanificare eventuali azioni motivazionali. In altre parole, Herzberg afferma che se un lavoratore si trova in un ambiente tale da provocargli disagio (freddo o caldo eccessivi, umidità, polvere, rumore, cattiva illuminazione, ecc.), il lavoratore stesso prova uno stato di disagio e di insoddisfazione derivante dal non rispetto dei fattori igienici relativi al lavoro che deve svolgere. In questa situazione, l’azione di eventuali fattori motivazionali è destinata a non avere successo duraturo nel tempo se prima non si soddisfano le carenze appena descritte. Alcuni assimilano i fattori igienici di Herzberg ai primi due livelli della piramide di Maslow e i fattori motivanti agli ultimi due. Il terzo livello di Maslow può essere incluso sia tra i fattori igienici, sia tra quelli motivanti. In questa prospettiva, lo stipendio è da considerarsi tra i fattori igienici se risulta così basso da pregiudicare la dignità di vita del lavoratore. Il suo libro One More Time, How Do You Motivate Employees?, Harvard Business Review, 1968 è stato venduto in oltre un milione di copie.

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Herbert Alexander Simon (1916 - 2001) fu uno studioso politico, un economista, un sociologo e uno psicologo. Vinse il premio Nobel nel 1978 per le sue ricerche sui processi di decision making nelle organizzazioni economiche in contesti di incertezza. Ha dato un contributo di fondamentale importanza al pensiero organizzativo. Per studiare il comportamento umano nelle organizzazioni, egli afferma che la lettura dell’organigramma è insufficiente in quanto elenca semplicemente una serie di ruoli, come fossero delle parti assegnate agli attori di una recita; occorre invece partire dalle decisioni e dalle premesse alle stesse. Per Simon il processo decisionale include sia i giudizi di fatto (valutazioni verificabili empiricamente, che riguardano l’adeguatezza del mezzo al fine prefissato), sia i giudizi di valore (valutazioni non verificabili come vere o false, che afferiscono l’ambito etico e soggettivo e relative alla desiderabilità del fine). I giudizi di valore possono essere accettati o rifiutati solo in base ad altre considerazioni di valore. Simon ha coniato il famoso concetto di razionalità limitata: l’uomo non è caratterizzato da razionalità assoluta, le sue scelte avvengono nell’ambito di vincoli cognitivi e conoscitivi; i limiti alla razionalità riguardano la disponibilità delle informazioni, la loro ambiguità, la capacità di elaborare tali informazioni e di definire gli obiettivi stessi a cui tendere, la conoscenza a priori di tutte le conseguenze relative a ogni scelta possibile. Per prevedere o comprendere l'azione di un individuo occorre quindi valutare quali sono le conoscenze, i valori e l'ambiente in cui si trova al momento della decisione (le cosiddette premesse decisionali). Nelle organizzazioni le decisioni si esplicano in comportamenti di gruppo e ricorrono sovente al compromesso (scelte soddisfacenti rispetto a scelte ottimali). Simon avvertì che modelli sofisticati di simulazione avrebbero meglio supportato i suoi studi e le sue ricerche; si interessò pertanto anche di intelligenza artificiale. Il suo libro più noto è probabilmente The Sciences of the Artificial, MIT Press, 1969.

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Michel Crozier (1922) professore di sociologia e consulente, ha insegnato a Parigi, Harvard e in California. Se per Taylor (vedi) l’uomo era “braccio”, se per Mayo (vedi) era “cuore”, per Crozier l’uomo è mente, progetto, libertà. Weber (vedi) concepisce la burocrazia come un apparato efficiente e orientato in modo razionale allo scopo, ma ne teme le conseguenze spersonalizzatrici, che possono portare i dipendenti a cieche osservanze di prescrizioni anche deleterie. Crozier non si pone nemmeno questo problema, considerando la burocrazia già in origine come un’istituzione meschina e fonte di negatività; un’inutile complicazione che limita la sua visione dell’uomo. La burocrazia è incapace di autoriforma, qualunque pressione su di essa esercitata è solo destinata ad acuirne le rigidità. Solo un fatto straordinario può cambiarla. Occorre progettare altri modelli organizzativi che, superandola, siano in grado di incorporare concetti di innovazione e di flessibilità; strumenti di questo superamento possono essere sia la cultura di massa, sia l’informatica. Crozier, inoltre, concepisce il potere come strumento per gestire l’incertezza nei confronti di altri soggetti. Si ha potere su qualcuno quando si riesce a prevederne il comportamento. Un capo esercita influenza sui suoi sottoposti lasciandoli nell’incertezza in merito al proprio comportamento e alle proprie decisioni. Un esperto tecnico esercita il suo potere lasciando altri nell’incertezza su argomenti che non padroneggiano quanto lui. Parallelamente, più il ruolo organizzativo di un individuo è poco definito e quindi incerto, più questi dispone di spazi (e di potere) per negoziare la sua partecipazione. Il suo libro più noto è La société bloquée, Editions du Seuil, 1970, a cui farà seguito, tra gli altri lavori, La crise de l’intelligence. Essai sur l’impuissance des élites à se réformer, Intereditions, 1995.

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Karl E. Weick (1936) teorico dell’organizzazione di approccio cognitivista. Il suo focus di attenzione riguarda i processi posti in atto dagli individui per dare senso al loro essere e al loro operare nelle organizzazioni; questi processi riguardano anche il mondo esterno, il cui significato è quello che noi gli attribuiamo. In questo ambito Weick ha introdotto i concetti di accoppiamento lasco (loose coupling), di consapevolezza (mindfulness) e di creazione di senso (sensemaking) all’interno del pensiero organizzativo. Per accoppiamento lasco egli intende il grado necessario di flessibilità tra ciò che un’organizzazione pensa sia la realtà (la sua teoria sul mondo) e la concretezza delle cose nelle quali si trova ad agire. La consapevolezza trova il suo compimento quando le aspettative che abbiamo vengono soddisfatte e utilizzate per evolvere la situazione corrente in una migliore. L’insieme disordinato delle informazioni che provengono dal contesto esterno a noi trovano un loro ordine logico con la creazione di senso, attraverso mappe cognitive in grado di strutturare gli input e predisporre il nostro comportamento futuro. Secondo Weick creare senso e organizzare sono la stessa cosa, nonostante il primo riguardi il piano mentale, mentre il secondo sia più relativo al campo pratico. L’organizzazione è il risultato, mai finale e in continuo divenire, dell’organizzare. Una delle sue opere più significative è The Social Psychology of Organizing, MCGraw-Hill, 1979.

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Edgar H. Schein (1928) psicosociologo e professore al MIT Sloan School of Management, è un autorevole personaggio nei campi dello sviluppo organizzativo e della consulenza. Per lui la cultura organizzativa è un insieme coerente di fattori messi a punto da un gruppo di persone a seguito di problemi relativi all’adattamento esterno e all’integrazione interna. Questi fattori, avendo funzionato in modo soddisfacente, sono stati poi ritenuti validi e trasmessi ai nuovi membri dell’organizzazione per delineare il modo di fare e di pensare relativamente a quei problemi. I fattori fondamentali si articolano in: assunti di base, valori, norme, artefatti. Oltre che per il concetto di cultura organizzativa, Schein è noto per la definizione di contratto psicologico tra dipendente e datore di lavoro, che definisce ciò che un dipendente si aspetta dal proprio datore di lavoro, non solo in termini economici (salario, condizioni lavorative, orari, sicurezza) ma anche sul piano psicologico (il modo in cui è considerato nella sua attività e incoraggiato a sviluppare le sue conoscenze e responsabilità). Schein è convinto che molti scioperi e conflitti nell’industria derivino fondamentalmente da una rottura di questo contratto, anche se la causa apparente sembra essere una protesta puramente economica. Il contratto psicologico non funziona a senso unico: comprende anche le attese che l’azienda ripone su coloro che lavorano per lei (la lealtà e la costanza, per esempio). E’ essenziale quindi che ci sia accordo o corrispondenza tra queste due aspettative se si vuole che il contratto possa essere applicato a lungo termine. Notissimi inoltre sono i suoi lavori nel campo della consulenza aziendale, dove il concetto di contratto psicologico è ripreso e opportunamente adattato al rapporto cliente-consulente. Il testo di riferimento per il suo pensiero sulla cultura organizzativa è Organizational culture and leadership, Jossey-Bass, 1985.

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Henry Mintzberg (1939) docente e studioso di scienze gestionali, organizzazione e strategia. Contingentista, egli ritiene che le imprese più efficienti siano quelle che si danno la struttura più idonea all’ambito complessivo in cui operano. Riprende il concetto di burocrazia precedentemente introdotto da Weber (vedi), aggiungendo che una sola tipologia non basta per adattarsi alle diverse anime aziendali. Elabora pertanto un modello basato su cinque forme organizzative: struttura semplice, burocrazia meccanica, burocrazia professionale, soluzione divisionale, adhocrazia, che costituiscono la gamma di possibilità da cui attingere la risposta più adatta alle situazioni in cui le organizzazioni si trovano ad operare. Il modello delle cinque forme organizzative è stato sviluppato nel 1983. In seguito l’autore ne ha aggiunta una sesta, denominata “missionaria”, per identificare quei tipi di organizzazioni che si basano sulla condivisione di valori ideali. La sua opera più conosciuta è The rise and fall of strategic planning, Free Press, 1994.

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